Ti chiedi mai dove si annida il senso più profondo delle cose? Siamo l’unica specie capace di introspezione: speculiamo sulla natura delle cose, ma infine cerchiamo realmente il vero volto nella naturalezza di quello che ci colpisce? Un gesto, un affetto o un qualcosa? Prendiamo per date le certezze che ci danno conforto, ma, lasciati a noi stessi, contempliamo mai quella sensazione che ci fa sentire abbracciati nell’animo dalla vita? È a tarda sera, quando il silenzio invade ogni cosa e il mondo sembra rallentare, che mi piace contemplare la verità che si denuda dal corpo della vita. Nella frenesia del tempo, del lavoro o dei nostri interessi, dimentichiamo il semplice atto di guardare, di vivere anche un momento. Perché la speculazione sul futuro o l’analisi di ciò che è passato finisce per prevaricare la consapevolezza di ciò che abbiamo. È una sensazione bella quanto fredda e attonita. La bellezza di ciò che è vero è anche la brutalità della consapevolezza di ciò che è falso. Non c’è liberazione senza finire in un’altra prigione. Forse analizzo sempre troppo, ma non è bisogno di controllo, di risposte o un’ossessione sul dover dare significato a ciò che mi capita o vedo. È una necessità di valore. Quando capisco l’intimità di un comportamento, la semplicità di un gesto, mi arricchisco della comprensione del mondo. Cos’è la vita, se non una somma di ciò che noi poniamo nella nostra equazione? Può essere uno, dieci o cento, un limite o un differenziale. Per me è la somma di ciò che ha valore, di ciò che è vero e profondo. Mi nutre così intensamente, seppur rendendomi triste, perché mi rendo conto che è un calcolo solo mio. Tutto chiede un prezzo, alla fine. Lo si capisce poi col tempo. E, seppur pensiamo di poter eludere sempre le regole esistenziali che abbracciano la nostra vita, questa è una di quelle regole inderogabili che, anche fingendo non possano agire su di noi — per la nostra arroganza — comunque agiscono. Ignorare qualcosa non ha nessuna utilità, se non quella di restare annidata dentro di noi, di rendere in noi manifesto il nostro procrastinare, la nostra incapacità di voler affrontare le cose. Anche fingendo che un problema, una rivelazione o rilevazione non esistano — per nostra comodità — non le spoglia della loro capacità di interferire col nostro vivere. Alla fine, ciò che neghiamo è ciò che ci insegue più assiduamente. L’elusione è solo un invito silenzioso al ritorno. Siamo l’unica specie capace di introspezione, sì. Ma, a volte, dovremmo solo vivere quel sentimento viscerale chiamato esistenza, senza compromessi, paure o fantasie. La speculazione umana è fonte di infinite cose, compresa la sofferenza… Non basterebbe vivere qui e ora?