Seguitando su e giù per il suo studio, sembrava come un’anima serafica, nonostante il divampare dei suoi pensieri si accingesse a potersi scrutare dai suoi occhi. Anche quando ingranava pensieri macchinosi, profusi di passione, di superbia, sembrava calma e silente. Ma quando apriva bocca, il suo tono era al contempo pacato e appassionato, sprezzante di una verità che solo lei sembrava aver capito. «Era quello il prezzo da pagare: una vita contro otto miliardi. Avrei rinunciato all’amore, alla felicità, per vedere gli altri felici. Ma non era questo quello che volevo veramente: volevo vedere tutti quanti sprofondare nel baratro, e io con essi. Non era un desiderio di autodistruzione o un’espressione di gelosia: era giustizia. Quante tribolazioni e quanta miseria subiva il mondo, e quale prezzo potevo pagare, se non la mia vita — che reputavo valesse più di ogni altra? Ma perché? Perché io valevo uno e tutti gli altri erano una parte infinitesimale? Non era superbia o arroganza, ma forse non ha importanza. La percezione della mia vita aveva più valore del reale valore che veramente avesse. A volte vinci bluffando con il mondo intero, a volte con te stesso. Avrei sempre rinunciato a tutto, e mi sarei nutrita di tutti per arrivare dove volevo, per ottenere ciò che desideravo, senza un solo rimpianto. Questa era una delle regole del mondo. Così funzionava: non le avevo scritte io, ma ci giocavo, e ci sapevo giocare bene. Quando discutevo con persone irrealizzate, infelici, frustrate, e sentivo uscire dalle loro bocche quel perbenismo, mi nauseavo. Volevano farmi la paternale sulla vita, sulla felicità, e poi non erano né felici né avevano arguito qualcosa di più sul senso di questa esistenza. Perché io dovevo seguire i consigli di persone che fallivano passo dopo passo? Quando io mi riservavo il diritto di giocare secondo le mie regole e ottenevo ciò che volevo? Il prezzo da pagare per il successo non è la solitudine: è l’illusione del senso di colpa, per ciò che si distrugge nel tragitto per ottenerlo. Perché un’illusione? Perché nessuno che ha mai ottenuto quello che voleva si sentiva veramente in colpa per le scie di distruzione che si lasciava alle spalle. Però serviva una qualche sorta di giustificazione, un mero scrupolo etico. Ma la verità è che non frega un cazzo a nessuno. Il senso di appagamento era totale, si diramava ad ogni estremità del corpo e della mente. Qualcuno mi odierà per queste parole, e qualcuno odierà anche me. Ma non sono io il motivo di questo odio: siete voi. Voi che siete così piccoli da non riuscire a tendere una mano verso la realizzazione, e dovete odiare chi invece non solo la mano l’ha tesa, ma ha afferrato quel frutto proibito, da voi così osannato e anelato. Io non sono che un’ideale per gli altri. L’unica differenza è la realizzazione. Io ho avuto tutto, e voi poco o nulla. Ed è questo che odiate: la vostra pigrizia, la vostra incostanza e debolezza. È il riflesso negato della vostra auto giustificazione: se nessuno ci riesce, allora è per quello che anche io non riesco. Ma quando qualcuno si eleva sopra la mediocrità e ci riesce, non c’è più giustificazione che tenga, vero? E allora sprofonda nel vostro ego questa lama che vi ferisce, e questo attacco che vi sentite subire è promotore dell’odio che provate. Ma posso assicurarvi che nessuno che raggiunge il successo si cura di voi o di quello che provate. Siete trascurabili, ed è per questo che ancor più odiate chi ce l’ha fatta. Perché vi sentite così miserabili.» Dopo queste parole così taglienti — cui non spetta a me porre giudizi sulla natura degli argomenti — la replica non tardò troppo ad arrivare. E con la stessa passione, ma con fervida animosità per questo discorso — che risuonava così privo di calore —, cercando con tutto se stesso di non esplodere, riuscì a risponderle, a digrigno serrato: «Trovo la tua mancanza di senso etico aberrante, parli di giustizia, ma non c’è giustizia in quello che fai: è solo egoismo, calpesti ogni cosa, ogni vita. E per cosa? L’illusione della realizzazione materiale? Della realizzazione personale? Sei l’incarnazione perfetta della brutalità, del narcisismo più disarmante, sei il prodotto di una società consumista e vuota. Non penso l’odio nasca dalla realizzazione di una qualche sorta di incapacità personale, e che sia nutrito verso chi possieda certe capacità, come dici tu. È la mancanza del lato umano, è il puro egoismo che scatena l’odio. Chi oltrepassa un limite per compiere qualcosa di buono per qualcuno è nobilitato e giustificato dalle masse. Ma chi oltrepassa i limiti solo per sé, per il proprio disperato desiderio di realizzazione, trova un terreno austero negli altri. Vuoi parlare di realizzazione? Parla di realizzazione. Ma la vita di una persona viene pesata solo su quello che ha ottenuto? O anche sul modo in cui l’ha ottenuto? Preferisco non ottenere tutto ciò che voglio, non ha importanza se dimentichi il senso di vivere, i valori che nutriamo. Altrimenti, la vita è una somma asettica di risultati, non una progressione di mutamenti. Vivo la mia vita basandola sulla felicità, quello mi muove nel mondo, ma non esiste felicità nelle tue parole e nei tuoi successi, perché alla fine sei priva di moralità…» E detto ciò, la tensione, sempre più crescente, si trasformò in uragano — perché, metti insieme due anime forti e risolute, ma con una diversa visione del mondo, e non può che venirne fuori una battaglia d’intelletti. Nonostante ognuno avesse le proprie ragioni, era chiaro che l’affermazione della propria visione era posta a voler affermarsi sull’altra. Così, esplodendo a sua volta, replicando disse: «Moralità? Tu pensi non abbia una moralità? Riconoscere o avere uno scrupolo morale non significa non poter essere amorali. Tu pensi che la moralità esista e si configuri solo in ciò che è giusto e sbagliato? E se la regola morale fosse eticamente discutibile, infrangerla non sarebbe immorale, ma sarebbe giusto, vero? La moralità è una risultante sociale dei costumi di un’epoca, è una limitazione. Un leone non si fa scrupoli morali nel togliere la vita alla sua preda, cos’è la morale se non un artificio umano? Chi si fa scrupoli non ottiene poi ciò che vuole. È un’altra delle regole del mondo, mio caro. Tu vuoi parlare di giustizia, ma il mondo non è giusto o meritocratico, vuoi vederlo così perché ti fa comodo vederlo tale. Ma è qui dove si sgretola la fragilità del tuo pensiero. Il mondo è un campo di morte, letteralmente anche, e quando è in gioco una vita — la tua, ad esempio — non ti faresti scrupoli morali. Ma noi siamo abituati troppo bene a quell’agio che diamo per scontato. Io vivo la vita come se fosse sempre a rischio. Ecco perché vivo più intensamente e non mi limito a esistere. Io sopravvivo, ma tu?»