In quei secondi, volati via dalla carta, in quei sorrisi arsi nel nulla, senti il calore del tempo? Che tutto raffredda, che non chiede scusa. Non fa tutto che girare, gira su se stesso, e io con lui. Vorrei provare a fermare anche un solo secondo, per farlo tesoro nei miei ricordi flebili; ma, quando provo a trattenerlo, sguscia via e mi ritrovo a guardare il passato navigare via dalla banchina. Vorrei che, quando la luce mi colpisce il viso, sia manifesto il dubbio dietro ogni mio sguardo, che il sorriso smascheri via la malinconia; ma, quando provo a rivelarlo, qualcosa si spezza dentro. E non posso essere fragile, ma non voglio essere sempre forte. In quei momenti, così preziosi, ho capito il valore della vita, solo per poi sentire una nostalgia che non ha né casa né memoria. Semplice, si siede lì e mi abbraccia. Mi chiedo perché ogni assoluto sia sempre così collegato: che nel vuoto trovi la pienezza, nella felicità la malinconia, nella vita la morte. Anelo a quel significato, un bisogno così radicato che non posso scavare per capire da dove provenga, perché, nel farlo, passerebbe tutta la mia vita senza che io riesca a raggiungerne la radice. È un sorriso triste, quando capisco che l’immensità è parte di ognuno di noi. Alla fine devi arrenderti, perché, nel svelare quel mistero di vita, finisci per non viverla. Ma cosa posso fare, se tutto quello che voglio è trovare quel significato, nella speranza che possa trovare anche me? Non c’è resa più grande di accettare una battaglia che non puoi vincere a cuore aperto, mentre le paure di oggi saranno i rimpianti di domani; l’inazione sarà poi un grande nulla, perché la staticità non paga mai. Ma un’azione sbagliata cosa diventerà? Terreno fertile o campi di cenere? Così, in quei secondi volati via dalla carta, manifestavo la mia resa e il mio dolore, che si facevano sbavature d’inchiostro sui miei occhi e nella mia anima. E, nel farlo, sorridevo sommessamente per questa parola che può essere scritta, ma non può essere capita: vita.