III Duchess of Cantershire

Kelly Cavendish

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Crepuscolare

2025-06-15 16:48

Kelly Cavendish

Poesie,

Il crepuscolo è la mia primavera,



c’è un pianto dietro ogni sorriso,



risplende sempre quel silenzio sul mio viso.



Ma in questo presente ho dimenticato ogni mio agire, ogni mio anelo, ogni mia era.




Silenzioso agisce il tempo, che svilisce, che non perdona e che m’abbandona,



quando ancora non passa questo passo spedito.




In queste mura la mia dimora,



in questo nulla la mia prosperità.




Perché dal mio dolore ho dovuto tirar fuori rose,



che hanno ferito ogni mio dito,



più di un rovere ardito,



su questo capo, da altri marchiato,



in questo momento - alquanto un eterno.




Su questi fogli trasferisco tutto il mio animo,



così che possa amarlo, come nessuno può,



perché nessuno ama ciò che non può vedere.




Così celato questo cuore da me amato,



così dannato questo pensiero,



così ingrata questa voglia assetata di vita,



così sbiadita, così passita.




Così tutto quello che avevo dentro si faceva rumore



nel bianco di questo foglio, di questa vita – sempre vista di sfuggita.




In quei momenti di vissuto il dubbio non m’era mai piaciuto,



ma in quegli istanti vedevo davvero attraverso ciò che avevo dentro,



e mi spegnevo, perché capivo che ero solo io a veder più degli altri,



e che gli altri non volevano vedere questa primavera,



perché era un’alba oscura più che chiara.




Ma quell’oscurità era il prodotto della loro infelicità.



Ognun porta fuori ciò che non capisce dentro,



con fervo lamento.




Per questo ho sempre amato ogni silenzio, ogni contemplo.




E così: in quel momento non sapevo dove volgere lo sguardo,



perché non c’era niente lì fuori che trovassi famigliare da potermici rispecchiare.




Così ho sempre guardato dentro,



e vedo attraverso tutto,



e quel tutto era un grande niente,



poiché la tempra di ciò che è vivido fuori era così spoglia dentro.




Giacevo a terra ogni volta, ogni istante.



Il peso di quel niente era così assordante, era dilagante,



come un’onda s’abbatteva su tutto,



e quel tutto valeva così poco.




Contemplando questo,



come potevo essere felice?



Come potevo vedere senza impoverirmi?




Ma non potevo accecarmi,



non potevo salvarmi,



e non potevo fare nulla più che rendere resa a questa rivelazione,



che aveva il gusto di stremare ogni mio secondo.




E anche il tempo diventò sgomento,



e in questo supplizio di lamento vedo, come sempre,



un’amarezza che era più propria a me di quanto lo fosse la mia ombra.




Che adorno,



e che ironia che s’impregna alla mia malinconia.



III Duchess of Cantershire

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