Nel solito frastuono del mondo - di questo vivere meccanicistico e mediocre, che è il metronomo della maggior parte di noi - quel giorno, in quel raro momento d’ozio, solevo domandarmi cosa fosse per me la filosofia. Non come definizione accademica, ma cosa significasse propriamente per me la nozione di: filosofeggiare. Come mai era per me, una quasi ossessione? Mi approprio del termine “quasi”, perché trovo che la semantica della parola “ossessione”, celi al suo interno - come penso sia risaputo, e mi si perdonerà la ridondanza - un’accezione negativa, e logorante della natura di qualsivoglia cosa oggetto d’ossessione. Infatti un’ossessione denota una morsa nefasta, di quello che per noi desideriamo così ardentemente, da sopprimere ogni altro nostro agire. È un’invasione e un sopruso del nostro intelletto, che tende a venire meno, in risposta a questa colonizzazione, questo vigore, che ha anche del fisico, in cui spegniamo ogni logica in favore di una passione irrefrenabile - e mi verrebbe da aggiungere quasi agonizzante - dove ogni secondo e ogni azione sono posti ad uso del raggiungimento della cosa in sé. Mi si perdonerà anche il mio dilungarmi, ma esprimere concetti al giorno d’oggi, dove l’immediatezza la fa da padrona, richiede la padronanza di una certa arte: quella di sapersi spiegare e usufruire della parsimonia di pesare le parole in modo proprio, utile. E anche se di solito mi piace fruire del dono della sintesi, preferisco oggi adoperarmi della capacità discorsiva. Tornando alla domanda prima, cos’è per me il filosofare? Il ragionamento della natura di ogni mio, e altrui agire, l’analisi deterministica e fatalistica a livello esistenziale, un florido nutrimento della mia anima e qualsivoglia pensiero e momento vuoto nel mio vivere. Non è solo capire e spiegare ciò che è vita e ciò che è corrente di pensiero, ma è proprio vivere. Molte persone diranno che la filosofia è inutile, anche noiosa, ma per me è: arte, riposo e rigenerazione. È quello scopo, che vuole spiegare ogni scopo, quel perché che le persone evitano, e la ragione del perché lo vogliono evitare. Sarà pure un salto nel vuoto, ma un quadro dentro un quadro più grande, all’interno di un altro quadro lo è sempre. Quella complessità intrinseca nell’intrinseco diventa una sfida nella sfida. E già qua, in questo susseguirsi di immagini dentro se stesse, si può denotare la stratificazione della natura del pensiero umano. Volendo tornare alla concretezza e abbandonando l’astrazione metaforica della complessità umana; da dove nasce questa necessità, di voler analizzare ogni agire umano? Nasce dalla necessità propria, capirmi e capire gli altri è sempre stato alla base di ogni mia azione e domanda, perché nel capire gli altri si può capire anche se stessi, e viceversa. Capire significa avere padronanza delle cose, la padronanza porta alla scelta consapevole e pesata di ogni scelta, e tutto ciò porta alla realizzazione personale, alla costruzione di valore. Il valore è per me uno dei principi della mia vita, è ciò che ricerco negli altri, dentro di me e in tutto ciò che faccio, non m’adopero in qualcosa privo di valore, e abbandono cose o persone che per me non ne hanno più. Potrebbe sembrare una conformazione elitista, ma non in senso di vanto, quanto più di raffinatezza nella ricerca di appropriatezza a ciò che prediligo vestire nella mia vita. Seguitando il discorso, la natura di ciò che è deterministico e fatalistico, penso sia da ricercarsi in ciò che è naturale e in ciò che è artificio del pensiero umano. Mi spiego meglio: uno dei principi fisici è che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, perciò se applico una determinata forza a un determinato oggetto, esso restituisce la stessa forza su di me. Questo è ciò che io chiamo determinismo, frutto matematico, quasi programmatico: A determina B, non c’è casualità nel risultato, ma c’è consequenzialità. Ciò che per me è fatalità, invece è una risultante casuale: il risultato non ha appropriatezza logica con l’azione che l’ha determinato. Alcune persone parlano di fato o destino, in certi avvenire, per cui l’incontro tra due persone può essere spiegato solo per il tramite di questa fatalità. È anche vero che azioni non correlate, possono convergere verso un determinato punto, e la spiegazione umana di quel punto, per nostro artificio di pensiero, viene spiegata tramite il destino. Qui la determinante della matrice destino-fato è da imputarsi a una leggerezza quasi mistica e inconsapevole, propria di un pensiero ingenuo - di solito non mi piace esprimere giudizi sulla natura del pensiero altrui, ma penso sia proprio di persone limitate, il voler imputare a forze sovrumane ciò che accade loro. Per me la fatalità è ciò che accade a frutto della casualità, e prediligo pensare che ciò che ci accade non sia sempre spiegabile, il bello di ciò che è fatalistico è che non possiede meritocrazia, le cose semplicemente accadono. Bisognerebbe abbandonare il cattivo gusto del determinismo causale, in contesti in cui non sempre si può ricercare un nesso più articolato. Arriviamo ora a spiegare come tutto questo può essere un nutrimento per l’anima. Nella vita ciò che nutre l’anima ha carattere puramente soggettivistico: alcune persone si nutrono di esperienze, di altre persone e di cose. Per me uno dei nutrimenti, come accennato in precedenza, è il filosofare. Già nello scrivere questi paragrafi, ho nutrito la mia anima, perché spiegare le cose, analizzare i pensieri, approfondirli e valorizzarli trasforma la visione del mondo, in quanto è la natura del nostro riflettere a modificare la percezione delle cose che vediamo o viviamo. Più si affina la capacità di pensiero, sia critico che personale, più si affinano i filtri con cui percepiamo la realtà. Diverse volte ho sottolineato quanto per me la verità sia al centro, sia il fine, in ogni cosa; verità è sinonimo di realtà, e nella realtà ci possiamo costruire con criterio evitando certe sabbie mobili e illusioni e in questa concretezza possiamo emergere come persone. Ogni spiegazione dà criterio e senso, potrebbe sembrare una contraddizione filosofica con quanto scritto nel paragrafo precedente, ma la coerenza è da ricercarsi nella sottigliezza della sintassi, e nella casualità logica: ogni spiegazione dà criterio e senso, ma non ogni cosa può essere spiegata, ciò che non può essere spiegato ha senso nella concezione fatalistica dell’esistenza. Digressioni e vagheggiamenti a parte, il nutrimento è da ricercarsi in questa mera dizione del pensiero, come puro esercizio mentale e progressione evolutiva della capacità analitica della visione del mondo. Il saper pensare definisce il poter divenire e fare, chi pone limiti al proprio pensiero, pone limiti a se stesso. In conclusione, la filosofia abbraccia ogni aspetto del mio vivere, del mio essere, del mio agire… tutto. È il mezzo con cui dare ritmo al mondo, e un senso ponderato alla natura di pensieri e azioni. È ciò che riesce a spiegare la verità dietro la falsità, ed è ciò che rende falsificabile ogni astrazione del pensiero umano, ogni determinismo d’azione e ogni progressione interna, che si configura come risultante di un percorso evolutivo consequenziale. Filosofeggiare è libertà e esercizio, che sono la base per maturare e padroneggiare gli strumenti per sapersi spiegare, e spiegare la natura dei perché umani. Vi è una diversità di filosofie nel mondo, ognuna propria e coerente alla tipologia di persone che l’hanno postulata, il che rende lecito domandarsi quale sia la filosofia più consona o che riassume il vero in una forma più accurata. Questa domanda ha una proprietà capziosa, in quanto è sempre da ricercarsi nell’indole della persona l’affinità a una determinata filosofia. Per quanto riguarda me, sono incline ad abbracciare ogni filosofia, a riprova coerente del mio desiderio di comprensione: più cresce la nostra dimensione interiore delle cose, più è facile muoversi e spiegare la dimensione esteriore. In un mondo in cui l’impoverimento dell’anima, dei valori, e dove l’omologazione sociale tendono a dilagare sempre più, una connotazione affinata del criterio non è solo una salvezza dalla mediocrità, ma anche la risposta a quel senso di vuoto e smarrimento esistenziale. L’unico prezzo che questa arte richiede è quello dell’incomprensione della maggior parte degli altri, in favore di quei pochi che preferiscono nutrirsi di autenticità. Tutto chiede un prezzo, tutto ha una conseguenza. Non tutto può essere spiegato, ogni cosa può essere vissuta, ma non ragionata: tutto questo è filosofia.