Scorre il tempo, ma dove scorriamo noi? In questo spazio, che ha un confine limitato, può nascere qualcosa di infinito?
In questi dolci sussurri a notte tarda, mentre il vociare del mondo diventa un tranquillo sottofondo, vivo una sensazione d’abbandono che non ha del malinconico, ma ha dello stupore.
Forse è questo che provano le persone che sentono davvero dentro le cose e non hanno paura di viverle; e quel vivere diventa un quieto sospeso, un docile sorriso e un incanto continuo, a ogni divenire e ogni tramontare.
Gocce di rugiada che baciano il terreno quando cadono, la delicatezza di uno sguardo tenero che non cerca nulla e trova ogni cosa.
Cosa trascina via il vento, quando ti accarezza senza recriminazione? Fragori di lontano, piogge fertili sotto cui danzare, esistere quel determinato momento e lasciare fuori dalla stanza tutto il resto.
A volte, tutto quello che vuoi viene abbandonato per l’incapacità di parlare non solo con gli occhi; così muoiono le considerazioni, e così nascono le nebbie posate delicatamente sui sepolcri, che rendono eterno anche ciò che è morto.
In questo momento, guardo al cielo e mi abbandono a una più alta consapevolezza, che mi stringe forte, che non può essere condivisa perché ne svaluterebbe la più intima comprensione.
Mirando stelle lontane, sento la piccolezza del mondo, e, nella banalità della mia nuova riflessione, mi chiedo quanto tempo passino inutilmente le persone ad arrovellarsi sui macigni così temporalmente insignificanti da non esistere veramente.
Sono silenzi e sono parole, sono carezze e sono conflitti, sono lo sprofondo del mondo e le cime più alte. Sono tante piccole cose che rendono tale la vita, ma che la rendono così infelice da vivere, come d’un albero mirare a terra, invece di mirare al più roseo tramonto o al più fresco risveglio d’un sole che può scaldare il gelo di qualsiasi anima.